Pasquale Basile nato a Messina e trasferitosi da giovane a Terracina, è essenzialmente un artista ellenico.
Ma attenzione al termine
"ellenico", che nel contesto, non si riferisce al periodo classico dell'arte
greca (metà sec. V - fine sec. IV), piuttosto si rifà al Medioevo Ellenico, iniziato con
la trasmigrazione in Grecia e poi in Magna Grecia dei Dori (divenuti appunto Elleni) e
caratterizzato dallo stile geometrico (X - IIIV sec.), la cui più alta forma
d'espressione artistica si rivela nella pittura vascolare.
In Basile non ci sono anfore né lekythoi né vasi su cui rendere la propria e personale
calligrafia pittorica, eppure è come se ci fossero. Testimoni ne sono i suoi quadri, non
tele generalmente, ma compensati lignei, mai rettilinei, mai confinanti ma sagomati a
ovale, smussati, oblunghi quasi a proseguire un discorso già cominciato, e a lasciare
interrotto un discorso da finire. Ecco allora che le figurazioni di corpi mozzati, teste
tagliate, braccia monche (vedi quadri come Annunciazione, il ratto di Venere, Vulva
lactuca amanti), rimandano ad una interezza che è al di fuori dello spazio pittorico del
tavolato che li modella e li confina senza peraltro irrigidirli, anzi, permettendo loro di
raccontare lo spazio dell'assenza.
Ellenico dunque è Basile.
E ellenico, vuol dire soprattutto
geometrico. Ma non è solo geometria di forme, così comuni a tanti artisti, a dominare lo
scenario artistico di Basile, è specialmente la gepmetria dello spirito. Uno spirito
geometrico dispone le proprie campiture segniche quasi in materia architettonica in modo
che la distribuzione delle forme riproduca il ritmo e l'articolazione di un ordine
armonico. I collezionisti di murici di Basile è un ottimo esempio di questo procedere.
Nell'ovale materico del compensato sono giocati in alternanza la forma del cerchio del
triangolo e del rettangolo. L'effetto gestaltico è quello di una triangolazione acentrica
con tre figure triangolari, la cui testa insieme alle braccia compongono altrettanti
triangoli che si moltiplicano nell'effetto delle vesti, anch'esse triangoli, smussati
dalle forme circolari dei seni e dei glutei.
Queste figure sembrano sedute intorno a un
probabile tavolo che, se in prospettiva appare triangolare, è invece, nella sua
bidimensionalità, anch'esso un triangolo acefalo ma compensato da una delle tre figure
sovrapposta, in effetto armonico con le figure che lo affiancano.
Insomma un gioco raffinato di forme che, come in una fuga misicale, appaiono e scompaiono
sciogliendosi in pura armonia.
Se lo spirito geometrico di Basile serve a
raccontare diacronicamente la tessitura della sua opera, così radicata al passato
ellenico, la scelta dei contenuti catapulta sincronicamente l'artista nel moderno,
presentificato da un'unica e ricorrente immagine, strumentalizzata a rappresentare gli
accadimenti dell'anima: la donna.
La donna in Basile funziona da geroglifico che, come nella pittura parietale egizia, a
secondo l'accostamento a altri pittogrammi serve a raccontare uno spezzone di vita o nel
caso basiliano, un movimento della psiche. E' dunque simbolo che rimanda a qualcos'altro,
connotando un "altro da sé" che s'incarna di volta in volta in svariate
figurazioni, denominate giustamente "travestimenti" da Vito Apuleo. Basta
pensare alla collezione di incisioni preparate per il libro di Mario Guidotti Il centro e
il labirinto (1994).
Qui la classica e ricorrente figura
femminile basiliana si ricostituisce sempre nuova e cangiante tramite alcuni elementi
usati scenograficamente. Si va così dal cappello e tromba/citofono di Fellini, alle gambe
multiple del Cerchio, alla deformazione figurale del Vascello e all'elemento talassico in
Rischio di naufragio. Una carrellata questa, che si conclude con l'ultima incisione del
libro Il silenzio, dove il tipico corpo femminile basiliano è rimpiazzato da una base con
fusto/frammento di colonna scanalata su cui si erge un volto dolce e assottigliato che
assomiglia allo stesso tempo alla regina egizia Neferiti e alle cariatidi dell'Eretteo. La
capigliatura, esagerata lateralmente e appiattita alla sommità a modo di riecheggiare
nell'insieme un capitello, si presta a continuazione della colonna, pronta a sostenere un
peso assente. Infine, la presenza schiacciante della zona umbratile che sovrasta il
profilo femmineo, e l'assenza del corpo-parola, confluiscono a rappresentare il silenzio
in uno spazio nudo, impreziosito solo da una collana che adagiata sul collo del ritratto,
ne accentua la regalità
Ma torniamo un attimo alla figura femminile
in Basile.
Questa, si staglia classica nella sua bidimensionalità d'affresco arcaicizzante,
evocatorio di molte culture del passato, apollinee, ma anche testimone dell'atemporale
dionisiaco che dimora nell'umano. Così la curvatura del volto in profilo, la forma
triangolare o circolare della capigliatura spesso parallela alla triangolazione delle
braccia, in monoblocco col busto/corazza, rievocano un'acestralità divina e solare,
completamente da seniche rimandano alla madre terra portatrice e dispensatrice di
fertilità. Ma dalla cintola in giù, per dirla alla dantesca, è tutt'altro discorso.
Il dionisiaco che governa gli istinti e le pulsioni buie dell'animo si tramutano e si
sciolgono nella maliziosità tentante di un nudo reso disincarnato che gioca ad incantare.
E allora non è solo la ricorrenza del
sedere scoperto a svelare pulsioni sensuali trattenute dalla cintola in su, ma sono
soprattutto gli elementi di rivestimento, quali giarrettiere, pon po e tacchi a spillo
recuperati alla maniera postmoderna da una tradizione che va dal decadentismo al Liberty
alla Belle Epoque, a stabilire le regole del gioco, dove l'avvertimento della sensualità,
frenata e contenuta dal rigore geometrico, supera la sensualità stessa (penso agli Amanti
dove il desiderio si traduce in una coscia divaricata rivestita di giarrettiera pon po e
tacco a spillo su cui dolcemente si adagia aderente la figura dell'amante senza volto).
Combinazione clandestina dunque in questo corpo di donna che è il marchio distintivo
della produzione basiliana. Ma una combinazione assurta a mito, quello personale
dell'artista che si serve di questo particolare "segno" per affondare nelle zone
più temerarie dell'essere.
Basile, discepolo della tradizione
mediterranea ha scandagliato queste "zone temerarie" attraverso varie
sperimentazioni di linguaggi materici che vanno dalle acqueforti alla pittura alla
scultura.
E, se come dice Luisi, l'incisione, la aderente al mondo arcaico proposto dall'artista,
affascina Basile per quella "imprevedibilità del suo esito affidato alle
morsure", la pittura che la segue, gli permette di esprimere nuove tonalità,
sintomatiche della condizione dell'anima, mentre la scultura, esperimento finale, dà
finalmente corpo alle figure basiliane che, pur rimanendo bidimensionali, acquistando
quello spessore che il bronzo garantisce loro.
Per quanto riguarda l'uso del colore, è pur
vero che l'incisione di per sé limita l'artista alla monocromia o bicromia distinta, ma
per Basile, nella tesitura delle acque forti, il colore non è primario come lo è invece
nella pittura. E nella pittura dominano i colori ancestrali, quelli della terra e del
mare. Non sono mai accesi ma pacati; sembrano quasi patinati da un tempo che li ha fissati
in una atemporalità che li attualizza. In Offertorio ad esempio, il dominante azzurro
marino a campiture soffuse e sbiadite sulle vesti e la capigliatura, cede al terra/mattone
del corpo, in un equilibrio armonico che vede il primo, lineare, e statico, confondersi
col secondo, circolare (vedi seni e glutei) e mobile. L'effetto è quello di una
delicatezza e dolce sensualità, ravvisata tenue anche nel gesto della figura che offre in
donazione, frutto erotico dell'appagamento.
Narratore di forme archetipali, evocatore di modelli arcaici respirati in terra siciliana, Basile artista è oggi anello di coniugazione tra un passato riproposto attuale e un presente rivisitato antico.
St.John's University
New York